Felida X (ep) – Il Sistema di Mel

Per comprendere Felida X (I Dischi del Minollo / LongRail Records) non bisogna essere né psicoanalisti, né bipolari; ci vuole sensibilità, tanta sensibilità, orecchie dritte ed attente, sia nei testi dalle mille sfaccettature ed interpretazione, sia alla struttura armonica che ammicca ad un rock compatto e coinvolgente. Arazzi sonori ed una fase di composizione asciutta, assicura a Il Sistema di Mel una coesione perfetta in questo ep, che non può essere altro che il trampolino di lancio per un futuro long-playing.

Felida X - Il Sistema di MelTyler Durden: Da Brescia cresce e nidifica un cantautorato privo di inibizioni e lontanissimo da filosofie spicce, promettendo un pragmatismo serio ed adulto, che ben si lega ad un percorso musicale dall’attitudine punk, ma dall’aspetto più moderato e più articolato. Dal 2014 Federico Mingardi, Paolo Bosio ed Alex Dossi danno vita ad un terzetto tutto sei corde e percussioni, completato solo successivamente dal timbro petulante del basso di Simone “Mazzu” Mazzenga, ultimando così una possente sezione ritmica che accentua i toni grevi di un rock livido e dai ritmi sempre sostenuti. Se il tema di Felida X sembra apparentemente la malattia mentale e/o lo sdoppiamento di personalità, questo non vuole necessariamente circoscrivere un determinato tipo di individui; anzi, tra le righe de Il Sistema di Mel troviamo tanta quotidianità e piccole-grandi idiosincrasie che colpiscono indiscriminatamente tutti noi.
Mille personalismi e mille pensieri soffocati dall’inconscio trainano questo ep in una dimensione astratta, sopra qualsiasi punto di vista, evidenziando dall’alto comportamenti e tendenze come se fossero anormali, ma che in realtà appartengono più o meno alla natura di ciò che ci circonda. Cambi di personaggi, d’impressioni e di visioni rendono vorticoso il racconto del disco, penetrando così in quell’area sconosciuta e misteriosa ove le grande verità vengono svelate: Felida X è un grande inno di solitudine e di incomprensione, nel quale l’alienazione si personifica in maniera genetica. Sotto l’aspetto musicale, le chitarre giocano a rincorsi tra riff pungenti ed armonie più sostenute, mentre il basso e la batteria riempiono e colorano le zone d’ombra con grande enfasi e con una tensione, che corre pari pari all’interpretazione vocale sempre molto onesta e priva di pregiudizi.

Il suo nome è Robert Paulson: Senza troppe contaminazioni, la musica de Il Sistema di Mel è abbastanza strutturata per liberarsi di qualsiasi paragone celebre, ma se proprio dobbiamo mettere nome e cognome di qualche infatuazione, allora direi che tracce della cupezza marchiata Interpol (ma forse più in generale sarebbe meglio parlare di debito verso il post-punk degli albori) sono appena percettibili anche nella tonalità del cantato. Tuttavia, non c’è né freddezza, né tantomeno distacco verso l’ascoltatore, che anzi vede sempre più immergersi nella psiche di Felida X.
Come non volevi apre come se fosse la pagina di un diario lasciato lì perché possa esser letto; il tono complice e confidente permette di auto-relazionarsi senza nessuna retorica e senza troppi giri di parole, risultando anche più aperto verso un interlocutore a cui si sente l’esigenza di dover spiegare. Come dentro uno specchio, le immagini raccontate riflettono pezzi di vita vissuta o solo immaginata, che hanno la propensione di penetrare entro la scorza dura dell’animo, per cercare di smuovere qualcosa, come un urlo soffocato dal silenzio tutt’intorno.
Marta nella stanza pone un approccio simile, evidenziando con maggiore enfasi e dettaglio il soggetto della “malattia”, mostrandola come una sorta di mea-culpa assorta e staticoa, con quel pizzico di fatalismo mai banale, e quasi quasi irriverente. La claustrofobia della musica fa sembrare ancora più pesanti ed opprimenti quelle quattro mura nelle quali la protagonista si muove, un po’ come se fosse la metafora di quello che “sta nella sua testa“.
Litio (non a caso usato anche come antipsicotico) non è la cura, ma bensì la condanna; in questo concept il senso di straniamento tocca qui i vertici epocali, colpendo con una meravigliosa combo chitarra-basso-batteria che conferma le ottime trame de Il Sistema di Mel; il chorus scivola via sghembo, come una mitragliata di parole che escono come se fossero un singhiozzante flusso di coscienza. Nella finale Spacecake, l’evasione prende il sopravvento, preferendo la testarda solitudine ad una qualsiasi (e vana) cura; è un anti-inno alieno nel quale vincono le atmosfere lisergiche disciolte in un rock potente e tirato al massimo.

La prima regola del progetto Mayhem: Il Sistema di Mel in soli quattro brani riesce a condensare tutta l’amara disperazione di questi tempi (il messaggio è che siamo tutti pazzi, e dannatamente soli?!), con una grande capacità di sintesi accompagnata da un pragmatismo potente ed esaustivo. Non oso neanche immaginare cosa potrebbero fare in un formato più lungo, eppure è innegabile che la grande forza di Felida X sia, non solo nelle tematiche affrontate da un punto di vista rovesciato, ma soprattutto nell’originalità di fondo e nella grande qualità in fase di arrangiamento, senza mai strafare o calcare la mano con soluzioni troppo cervellotiche.

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recensito da Bambolaclara
BambolaClara heartofglass

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