Dromomania – Le Scimmie

Sembra di essere tornati ai tempi delle “palle di cannone dalle gradinate”, quando il feedback da camicia a quadri sgorgava come un torrente impetuoso e portava a riva le salme dei giovani headbaggers. Nostalgia di tempi lontani, di suoni graffianti, chimicamente (o digitalmente) poco trattati; o forse fin troppo mal-trattati, partoriti piegando plettri e polpastrelli. Una tendenza alla fobia traspare di rimando nella musica de Le Scimmie, uno studio sulla malattia e sulla personalità. Un passo (irriverente!) in avanti da quella che fu L’Origine (leggi recensione).
Primati dal camice bianco analizzano l’uomo!

Dromomania rappresenta per sommi capi un lavoro arguto, dalle tendenze underground-stoner ma senza accapigliarsi per assomigliare per forza a qualcosa. Pimpanti nella folta nebbia sonora, costruita da suoni cupi, pressurizzati ma pesanti come macerie cadute dall’alto, nella devastazione biologica di una megalopoli sovrappopolata.
Dal dizionario medico Stedman’s, “dromomania” viene definita come una tendenza nevrotico-schizofrenica a camminare di fretta senza una meta definita. Questo probabilmente per liberare la mente da pensieri e/o ossessioni; della serie passeggia come uno yuppie impazzito, che ti passa!
Nelle 10 tracce esclusivamente strumentali è paventata una disarmonia dei sensi, una follia deviata che tuttavia mantiene un comportamento lucido, una posa moderna dal bell’aspetto. La chitarra Xunah distribuisce riff d’impatto, intuitivi, ingrassati da un feedback viscido e melmoso, sostenuti dal rimbombante eco della batteria di Mario Serecchia.
La title-track e L’oblio mistico sfociano nello stesso mare di distorsioni, sotto ad un cielo greve, pesante alla Melvins (paragone ovvio forse, ma per dio, azzeccato!): dai ritmi frenetici la prima (in armonia con lo svuotamento dei pensieri), dal lento divenire la seconda.

Athazagorafobia (ah, uno dei tanti disturbi di cui soffre il sottoscritto) nelle sue due estensioni naturali, si colora di tinte accese che diluiscono con il contagocce una malinconia sofferta dai muti clichè: ancora una volta il concetto celebrale del pensiero e del ricordo (o del non essere dimenticati) prende il soppravvento, senza sporcarsi le labbra di insulse liriche! La musica de Le Scimmie si esprime con un linguaggio del tutto particolare, come un fottuto sms spedito senza punteggiatura: il segreto sta proprio lì, nel sapere comunicare emozioni senza forzatamente chiamarle per nome.
Frustrazione della psiche mi ricorda in alcune ritmiche Spank Thru (una delle prime bozze cobaniane), mentre Il Filo di Lana inizia con la scontata cantilena da carillon, per poi approcciare come un irritante e volitivo hardcore newyorkese rivisitato, alla maniera di Zen Arcade e non solo per la velocità d’esecuzione.

Nostofobia chiude con genialità (quanto mai azzeccata la scelta del titolo) un disco rarefatto, intelligente, quanto mai propositivo nello studiare forme musicali diverse dal costante e monotono panorama italiano, che esso sia underground o meno. Qui decidete voi: per curare i vostri disturbi o prendete questa bomba musicale dai sicuri effetti collaterali o un comune xanax!


Le Scimmie myspace

recensito da Gus
 

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