Don Caballero 2 – Don Caballero

Pionieri ed padri del math-rock (nonostante la band rifiuti sempre tale etichetta), la musica dei Don Cabellero merita una vetrina su questo spazio musicale, perlomeno per comprendere come la loro influenza (specie dei primi tre dischi)  sia arrivata – seppur in una esile quota parte- anche nel post-rock contemporaneo e melodico.
I Don Caballero (il nome deriva da un personaggio di uno show-comico canadese, Guy Caballero) nascono a Pittsburg nell’estate 1991 dall’estro percussionista di Damon Che Fitzgerald, seguito dall’acida chitarra di Mike Banfield e dal basso di Pat Morris. Con questa line-up e la supervisione di Steve Albini in fase di produzione, pubblicano nel 1993 per la Touch & Go, l’esordio metallico di For Respect. Il disco getta le basi per dicotomie e dissonanze tra una sezione ritmica quasi sincopata (merito delle cavalcate di grancassa e rullante di Damon Che) ed allegorie di chitarra che trovano nelle acide distorsioni più di qualche punto in comune con il post-punk di Chicago (Big Black su tutti, e non poteva essere diversamente con Steve Albini alla regia!). La svolta tuttavia arriva nel 1995, con l’allargamento a quattro elementi, trovando nella sei corde Ian Williams un precoce contraltare per tamponare lo strapotere percussionistico di Damon Che.
Don Caballero 2Don Caballero 2 esplora in profondità le grumose alchimie di suono tra echi jazzistici ed un grindcore virulento (non di sponda anglosassone!!!), il tutto retto da una tensione stridula ed acida, che svela avanguardie e sperimentazioni rock che trovano nell’atavico progressive anni ’70 qualche celebrale parentela. La snellezza dei cambi di tempo, l’anacronismo delle trame di chitarra e le metriche sempre intersecate tra loro, le accordature contrarie e personalizzate evocano una musica psicopatica e nervosa, ma anche piuttosto elegante nella sua evoluzione dilatata nel tempo. La tecnica chitarristica geniale di Ian Williams rallenta apparentemente l’impronta ritmica predominante nella musica dei Don Caballero, trovando anche pause più melodiche, impensabili ad esempio nel disco d’esordio. Se Stupid Puma apre il disco con una scarica adrenalinica ereditata da For Respect, nella interminabile Please Tokio, Please THIS IS TOKIO l’acidità degli strumenti a corda esplodono in salite e discese incontrollate mosse solo da distorsioni ruvide, ma non per questo fastidiose. Nei tratti più melodici sembra di ritrovare l’eterogeneità degli Slint di Spiderland (1991, leggi recensione), mentre nelle schermaglie maggiormente eclettiche ecco che l’ombra di Robert Fripp sembra più di una figura retorica. Ovvio, l’ascolto non può essere semplice o a portata di mano, ma dopo qualche ripasso per far pratica ecco che Don Caballero 2 mostra le sue sfumature più articolate e caotiche: dall’azzardo heavy della funambolica Dick Suffers Is Furious with You, all’apparente delicatezza armonica di Cold Knees (in April), che in qualche modo anticipa le future evoluzioni della band, passando per gli inferi destrutturati della malefica P, P, P, Antless. A tratti forse indigesti, i Don Caballero si mostrano fenomeni nel creare un incredibile pathos emotivo, senza spendere una lirica o un ritornello, ed anzi, incrociando più avanguardie possibili in collage spesso difficili da apprezzare: costruiti per ottenere un’armonia finale di fondo, partendo da elementi decisamente disarmonici. Dalla claustrofobica e minimale Repeat Defender, alla potente e meravigliosa Rollerblade Success Story (personalmente il pezzo migliore del disco!), concludendo con le evocazioni progressive di No One Gives a Hoot About Faux-Ass Nonsense, i Don Caballero mettono alla prova le concezioni comuni su rock, punk ed avanguardie, mescolando tempi, generi e velocità trovando un eldorado di emozioni e sonorità.

Lo strappo maggiore con gli approcci del passato, lo si ha con What Burns Never Returns (1998), nel quale il ruolo di Ian Williams cresce a dismisura, ottenendo dal suono complessivo della band maggiori soddisfazioni chitarristiche (l’uso e abuso del delay diviene fondamentale!), virando con decisione verso metriche crimsoniane, tanto effimere quanto celebrali. Meno potente del precedente (e sarebbe stato impossibile superarlo in intensità) ma anche più melodico e limato nelle sue circolari asperità, What Burns Never Returns segna il punto più alto nella carriera dei Don Caballero, consacrandoli come esponenti di punta del “nuovo” o redivivo post-rock.
Fondamentali per comprendere le successive evoluzioni della musica rock (Mogwai e Radiohead sono sicuramente almeno un po’ in debito), i Don Caballero non si presentano né facili, né belli da ascoltare. Più brutti dei primi e acerbi Sonic Youth, meno effimeri delle idiosincrasie musicali degli ultimi King Crimson, i Don Caballero appartengono ad una branchia apparentemente ostica della musica rock degli ultimi vent’anni, ma proprio per questo vale la pena di approfondire la loro discografia. 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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