Desaparecido – Litfiba

Se nella prima metà degli anni ottanta la wave italiana aveva fatto “apprendistato” emulando i colleghi inglesi, già nel 1984 qualcosa di più elaborato esce dal mucchio: Siberia dei Diaframma e Desaparecido dei Litfiba, segnano indelebilmente il nuovo corso del rock alternativo italico.
Con Firenze nuova fucina di idee e di provocazioni (nel 1980 esce Altri Libertini di Pier Vittorio Tondelli, che lavorerà in maniera prolifica nella città toscana), anche la musica assume posture e vibrazioni proprie, grazie soprattutto ad una schiera di giovani musicisti ed interpreti che enfatizzano il nichilismo e la cupezza che dalla fine degli anni settanta aveva contraddistinto un certo mesto vivere quotidiano. Il chitarrista Federico Renzulli (il “secondo” Federico di Firenze) agli albori degli anni ’80 è in cerca di musicisti, e tramite un annuncio vuole mettere su una band (con Alberto Aiazzi alle tastiere e Francesco Calamai alle percussioni, poi sostituito poi dall’indimenticato Ringo de Palma): il bassista Gianni Maroccolo risponde entusiasta pensando di suonare con il Federico di Firenze (l’unico ed il solo Federico Fiumani dei Diaframma), e così nasce un’altra storia. Per ultimo, tramite Aiazzi, entra anche Piero Pelù, completando così la line-up.

Desaparecido - LitfibaSe nei Diaframma permaneva l’oblio e la decadenza come trade d’union tra il post-punk e la wave inglese, nei Litfiba, anche grazie allo spessore dei musicisti (Maroccolo e Aiazzi, in primis), si abbracciano sonorità più orientaleggianti ed aperte, trovando maggior sfogo in arrangiamenti puliti ed infatuati all’eco delle tastiere, con un certo debito chitarristico verso i primissimi U2. La Trilogia del Potere in realtà nasce solo alla fine del trittico, con Litfiba 3 (1988), come rigurgito contro il totalitarismo e gli abusi di potere in un breve lasso di tempo che paradossalmente non vive di grosse tragedie, ma che fa da incubatrice per quelle che scoppieranno nei primi anni ’90. Desaparecido, tuttavia non ha la pretenziosità intellettuale di affrontare il potere partendo dal passato e dalla storia, bensì si limita a darne uno scarabocchio rapido, enfatico, che trova la sua massima espressione nelle essenze e nelle fantasie che la musica emana a tinte forti. Non a caso Eroi nel Vento (che farebbe presagire a qualche irata rivoluzionaria) altro non è che una confessione confusa ed immaginaria lotta contro noia ed autocommiserazione (come peraltro si può constatare in Siberia), che trova lo sfogo massimo in «Eroe nel vento è la noia che scava dentro me».
La Preda cambia subito passo, grazie ad un basso maestoso di Maroccolo, e mette in campo dei bei arrangiamenti (l’organo di Aiazzi su un letto di chitarra che lavora sui power-chords) nonostante i richiami pop siano dietro l’angolo, con liriche apparentemente criptiche, ma in un certo senso intrise di un certo conformismo. Decadente è Lulù e Marlene, con una cadenza minimale mossa dalla sezione ritmica isterica e penetrante, mentre Pelù canta sommesso di un amore senz’anima, spogliando con la sua interpretazione ogni velleità sentimentale.

Il perfetto connubio tra rock alternativo, infatuazioni mediterranee e lucida wave esotica è sicuramente Istanbul; il cui intro delle tastiere di Aiazzi (nel quale convive il sottofondo vocale di Lu Rashid, mentre decanta una solenne preghiera) delinea in maniera essenziale quell’incontro/scontro tra occidente ed oriente; il prosieguo del brano mostra invece una cadenza vagamente esoterica, nel quale una certa solitudine («Ho viaggiato nel freddo senza volto senza età», richiama forse la Siberia di Fiumani?) aleggia pigra, prima di entrare nel cuore di quella Istanbul anni ’80 culla di un laicismo affascinante e di uno scambio culturale che forse non ha (o aveva) eguali nel mondo. Sulla stessa scia è Tzinganata (lato B del 45 giri di Istanbul), con un Piero Pelù ispirato che racconta di una zingara di nome Eva che «ballava sul fuoco», emanando una sensualità che le tastiere non esitano a catturare con estrema naturalezza ed una vaga ironia di fondo.
Pioggia di Luce torna nella wave più ispirata ed estremizzata, sentori orientali si ripropongono come se fossero il vero filo conduttore di tutte le tracce del disco (oltre alla solita solitudine, rimarcata con immagini di steppe desolate); mentre le danze gitane aprono con impeto Desaparecido, in una sagra di suoni e di melodie armoniose, mentre (con un pizzico di retorica) si delineano i fantasmi dei corpi scomparsi dei dissidenti cileni. Chiude Guerre, disperata nenia antimilitarista, che dopo un generoso incipit torna nel territorio della wave più accessibile, senza tuttavia sfigurare, ma senza neanche sferrare il colpo ipercritico decisivo.

Qualche cenno al resto della Trilogia del Potere: il doppio 17 Re (1986) vede l’entrata anche di Francesco Magnelli ed una maggiore pretenziosità lirica, peccando però negli arrangiamenti che si fanno più rockettari, con Ghigo Renzulli sempre più padrone delle dinamiche e principale fautore della virata commerciale dei Litfiba. Da ascoltare Il Re del Silenzio, per immediatezza, e Sulla Terra per diversità d’approccio, il resto si distanzia in maniera ineluttabile da Desaparecido. Litfiba 3 (1988, con i copertina il condannato a morte Willie Jasper Darden) vede la band protagonista di un rock più accessibile , ove la chitarra di Renzulli è il centro caldo di tutto il disco, a discapito delle tastiere di Aiazzi e del basso di Maroccolo (con Magnelli e De Palma lasceranno poco dopo i Litfiba); la wave è quasi definitivamente sparita e con essa quell’esoterismo dei tempi di Istanbul, tanto caldo quanto effimero.
Tuttavia La Trilogia del Potere rimane (e Desaparecido con essa) la migliore espressione musicale dei Litfiba, ed una importante testimonianza che anche negli anni ottanta craxiani c’era per davvero un eterno pessimismo. Pur mancando la poetica intimista dei Diaframma, la musica dei Litfiba a tratti così rarefatta e sognante, permette all’ascoltatore di isolarsi e vagare con la fantasia, alla ricerca di quei mondi lontanissimi ove ricercare una meritata distrazione.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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