Catartica – Marlene Kuntz

«Complimenti per la festa! Una festa del cazzo
Sei cosi’ cara e inutile mia dolce creatura immobile»

Mentre tutti ancora nei primi anni novanta s’intestardivano con rivisitazioni della -non più nuova- new-wave, i Marlene Kuntz svelarono, al sonnolento mercato italiano, la no-wave newyorkese di diec’anni prima, portando appresso un bagaglio sonoro che lambiva i feedback rumorosi di Swans e Sonic Youth accanto ad una sana e nostrana alienazione nata dall’adorazione per il grunge.
Come da quell’angolo ad ovest d’America nacquero sonorità grezze e disperate, così nella partigiana Cuneo, Cristiano Godano (arrivato per ultimo in realtà!), Riccardo Tesio, Luca Bergia e tanti bassisti volanti, formarono un nucleo che s’ispirava alle melodie acide del rock alternativo ed indipendente, puntellato da liriche che giocano su veri e propri inni generazionali. La gavetta e la fortuna premia così il quartetto, portando i loro primi ep all’orecchio del maestro Gianni Maroccolo (che quindic’anni più tardi si unirà come “turnista”) che era alla ricerca di giovani band da pubblicare sulla neonata CPI (Consorzio Produttori Indipendenti). Curato, durante una convalescenza in ospedale, da Lieve (brano che poi comparirà in Catartica) Giovanni Lindo Ferretti diede la benedizione definitiva ai Marlene Kuntz, dando inizio così indirettamente ad una delle più belle stagioni del rock “quasi-indipendente” italiano.
Lo strappo col passato “alternativo” italico è netto; suoni cupi e distorsioni che si muovono su più livelli, concedendo estrema libertà ai cambi di direzioni e di volume, un approccio post-hardcore in tutti i sensi, che non concede picchi di novità estrema, ma che basta ed avanza per le abitudini degli ascoltatori nostrani. Testi ruggenti ed arrabbiati fanno il resto, e concedetemi un certo manierismo ferrettiano che aleggia sopra le nostre teste come una nebbiolina fresca e simpatica, il tutto però così delicato da non disturbare l’ascolto.
Catartica - Marlene KuntzCatartica apre furiosa, e così doveva almeno apparire nel 1994, oggi a riascoltare M.K. viene un piccolo sorriso di accondiscendenza, poiché a livello sonoro assistiamo a roboanti combinazioni chitarra-basso-batteria che mimano ad un heavy rallentato e cruento, a tratti esasperato, ma coerente con l’invettiva verso il genere rap che ai Marlene Kuntz non va proprio a genio e senza mezzi termini. Festa Mesta coglie alla perfezione la paranoia della prima metà degli anni novanta, snocciolando la retorica della festa in cui è difficile divertirsi quando si è troppo esigenti; echi grunge scoppiano veloci e ottusi allo stesso tempo, mentre nel chorus il cantare a squarciagola diventa una necessità. A completare la combo esplosiva di inizio album ci pensa la maestosa e ringhiosa Sonica, il cui intro lungo è la quintessenza nella no-wave newyorkese riscritta da Cuneo. Rumori sgraziati e feedback di chitarra si riuniscono in una melodia ruvida e minimale, mentre la sezione ritmica segna un tempo preciso ed altrettanto oscuro; Godano nel cantato è riflessivo ed isterico solo quando serve, facendosi cantore (come insegna Ferretti in Ko de Mondo) pacato nell’evoluzione verso, riprendendo quel fiato che implode poi nel solito chorus tirato ed acido, anche grazie al contributo chitarristico di Tesio.
La pausa intelligente di Nuotando nell’aria fa tirare il fiato al momento giusto, il dinamismo è sempre molto spinto, ma i volumi più raccolti non enfatizzano (volutamente!) questa velocità, preferendo creare la giusta tensione con delle liriche profonde che definiscono quelle difficili sensazioni che l’addio provoca: «Intanto l’aria intorno e’ più nebbia che altro / L’aria e’ più nebbia che altro». I Marlene Kuntz dimostrando in maniera incontrovertibile come sia possibile scrivere e cantare nella madrelingua con qualità, senza dover andare a capo con la rima baciata e con tutte la banalità forzate che questa pratica richiede.
Citazione rapida per Lieve, che mantiene la sua lucida modernità anche a vent’anni di distanza, e Trasudamerica che suona più efficace di tante ballate poco ispirate dei più quotati ed ammirati Pixies o Pumpkins. L’alienazione è sottile, a tratti urlata, a tratti masticata e buttata via, ma coglie, mai come in Catartica, tutta la nenia paranoica e distaccata di quella determinata condizione. Un disco suonato, sudato, ballato in solitudine, vivo nella sua evoluzione alternativa, con suoni presi dal fango e per i capelli e trascinati lungo 14 brani (tanti!) che scivolano via bene, senza inutili fasi interlocutorie o di riempimento forzato. Così Merry X-Mas può diventare un brano talmente anonimo da poterlo ascoltare anche d’estate, anche grazie ad un tono confidente, e forse ruffiano, che non stanca mai di trovare consensi:

«Parlami, parlami molto di quello che vuoi
Chiedimi, chiedimi cento volte come mai
Che fosse il dubbio di me se non mi trovo più?
Ma non mi ridere e non mi trascinare, no»

Pillole di pre-hipsteria in 1°2°3°, capace come pochi brani di raccontare lucidamente e senza troppa poesia pezzi di giovinezza mezza slacciata, o ancora Canzone di Domani, ballata raffinata e ben arrangiate in cerca di una direzione e di un orientamento, portandosi appresso una moderata teenage angst: «Della gravita’ non mi ricordo più / Se non mi tiri giù tu in volo resterei».  Chiusura sonica con Non ti scordo più, e mai epilogo fu più azzeccato: la tensione sublima all’imbrunire di un disco fondamentale per chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo e viverlo nel 1994.
Catartica è la rinascita del rock alternativo, è la forza di una generazione che senza grossi riferimenti dietro le spalle ha saputo dare una sferzata al movimento musicale indipendente anche al di fuori dei centri sociali e della retorica politica. E se in Europa nel biennio ’94-’96 assistiamo alla definitiva distruzione dell’utopia grunge a favore di una commercializzazione sempre più aggressiva e bieca, in Italia sboccia una buona primavera con Marlene Kuntz, Afterhours, Verdena, Massimo Volume e via dicendo, osservati con occhio sempre vigile dall’attento Ferretti, che nel 1997 con Tabula Rasa Elettrificata porterà il movimento alla consacrazione, ahimè, delle classifiche commerciali.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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