Un sound alla “Breakfast Club”, chitarre sottilmente deviate a ricalcare quel garage newyorkese dei primi anni ’80, meraviglioso vaso di pandora per la generazione che 10 anni dopo avrebbe fatto bang! La realtà che Gus va a raccontare, coinvolge la rediviva Rimini, precipitata in un viaggio temporale a ritroso, fatto di feedback fangosi e tanto miel-pop: una ricetta che nei primi novanta abortì sempre idee brillanti !!! Shelly Johnson (aka Mädchen Amick, attrice dallo sguardo di ghiaccio, apprezzata pure su Californication targato Showtime) è il personaggio reso celebre dalla serie cult anni ’90 Twin Peaks, firmato follemente David Lynch: che a quanto pare ha fatto girare la testa pure a questo terzetto romagnolo, ispirandoli nel nome e nella nostalgia nineties.
Brighter è un pocket tascabile, da ascoltare in metrò, nel solito viatico da pendolare del lunedì mattino; non c’è da stupirsi che la musica dei Shelly Johnson Broke my Heart sia adattabile a qualunque umore lunatico: in seno al loro progetto c’è quel pop malinconico dai contorni ruvidi e dalla flemma colorata d’autunno. Un ep ben strutturato che non alza mai i volumi e non aggrotta mai il sopracciglio, si concentra solo sulle cose semplice e dannatamente ben riuscite; c’è chi ci trova, banalmente, qualche livido alla Stipe, io personalmente guardo un po’ più in là, e ci riconosco un tocco di magica vaga nostalgia verso Simon & Garfunkel: gusti son gusti, eh! Ad ogni modo il singolo apripista è un concentrato disilluso di wave, un po’ alla Friday I’m in Love, dalla stessa aria assonnata, fantasticamente dolce e vacua allo stesso tempo: The Boy and The Pokey Town gioca tutto sul salire e scendere delle voci (ottimo backing vocals) e della chitarra, in un dicotomico esercizio di riff onirici annegati in una base prettamente garage, ma suonata come una ninna-nanna pop. Hope like thers’s not tomorrow pizzica le corde giuste e conferma le buoni impressioni dell’antipasto; si denota che la scuola prediletta dal terzetto è quella US, che si allarga in suoni dilatati dalle percussioni e dal ritmo generalmente sostenuto, senza ubriachezze moleste: lezione Pixies, probabilmente!
Abolito per sempre lo style-indie, la band prosegue con l’arcigna Petrinne Sonne come l’avrebbe interpretata Thurston Moore; in debito forse con lo stile dell’ultimo Paul Weller è A Lullaby, un groove suonato a pieni accordi, adrenalinico e sedato ad intermittenza, con tanto di turbine finale! Chiudo con echi dalle caverne di un pop ruffiano e sbucciato, Red Sun Black Sand muore di una languida melancholia che costringe gli occhi a guardare il cielo in cerca di qualche risposta, o sintomo: un brano crepuscolare e molto piacente.
Un genere difficile di questi tempi invasati dalla malattia delle zero-idee, tuttavia Brighter fa il loro sporco lavoro, senza troppe velleità o soluzioni sgargianti. Musicalmente nei Shelly Johnson Broke my Heart è presente la liquidità del dream-pop e la perentorietà di un vago shoegaze; e nonostante qualche richiamo agli anni novanta, sostanzialmente il lavoro respira di un originalità che si accompagna volentieri al passeggiare frettoloso del assonnato lunedì mattina …
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