Back in Black – AC / DC

Il 1980 è stato sicuramente l’anno zero per gli AC/DC, che li ha portati dal solcare le strade dell’inferno alla morte prematura del proprio frontman  fino ad una inaspettata resurrezione sotto il segno di Back in Black.
Il 19 febbraio dello stesso anno, il corpo di Bon Scott venne ritrovato una mattina a Londra dentro una Renault 5 in circostanze mai del tutto chiarite; nel mistero che aleggia sulla sua morte, l’ombra degli eccessi sex-drugs-rock ‘n’ roll è plausibile, ma in fondo abbastanza superfluo vista la perdita di uno degli emblemi rocker per eccellenza.

Back in Black - ACDCDi conseguenza, lo shock per gli AC/DC è devastante. Dopo un discreto esordio, finalmente nel 1979 la carica di Highway to Hell e dell’omonimo singolo, sbancarono in grande stile anche oltre l’Australia, arrivando a lambire le coste statunitensi ed europee, così che tutto sembrava essere in discesa per i fratelli Young. La tragedia del cantante scozzese privò la scena australiana (già non ricchissima di talenti) di un eccezionale personaggio capace di re-inventare la figura del frontman moderno, gettando i rimanenti membri del gruppo in un abisso ed in uno sconforto da cui sarebbe stato difficile riprendersi..
Angus e Malcolm Young ed il fido bassista Cliff Williams cercarono in studio di proseguire quella sarebbe dovuta essere una carriera musicale in ascesa; “colmando” il vuoto di Scott  (le virgolette sono doverose, ma per come sono andate le cose gli AC/DC non potevano cadere in mani migliori!) con un ragazzone inglese con una buffa coppola: Brian Johnson. Se le affinità vocali possono essere comparabili, di certo non lo sono quelle di mostro da palcoscenico; ad ogni modo Johnson entrando in punta di piedi negli AC/DC col tempo ne diventerà uno punto di forza assieme alla indiavolata SG di Angus Young.

Alla memoria di Bon Scott, i 13 rintocchi di campana segnano l’inizio di Hell’s Bells: si apre Back in Black. L’atmosfera solenne e funerea viene smorzata dall’inconfondibile riff di Angus Young, per proseguire con l’impeto hard-rock della stridula voce di Johnson che mette i brividi: «You’re only young but you’re gonna die». Il tutto sfocia in un chorus efficace in cui l’intro iniziale si mescola in maniera monumentale con gli acuti vocali del cantante; indiscutibile la compattezza sonora garantita dal preciso accompagnamento di Malcolm Young e del basso (spesso non dovutamente apprezzato) di Williams; imprescindibile l’assolo centrale di Angus, autentico marchio di fabbrica, per il sound della band nei successivi vent’anni.  Hell’s Bells sostanzialmente si discosta dalle trame hard-rock dei precedenti album con Bon Scott, svelandone un tono più cupo e penetrante.

Sostenuta da un ritmo infernale, Shoot to Thrill è annoverata tra le migliori canzoni hard ‘n’ heavy della band; come del resto What do you do for money, honey?, diretta nel messaggio, in cui sesso, donne ed alcool non mancano mai, come sorta di memorandum alla Scott. Quasi per esorcizzare la morte del suo precedente frontman; questo album ha come tema centrale i vizi ed i peccati veniali di una vita spesso on the road e vissuta al limite: Give the dog a bone è quella che si avvicina più all’essenza personale del defunto cantante.
Let me put my love in to you è un viscido antipasto alla maestosa Back in Black, da sempre suonata dei successivi live, è diventata (probabilmente assieme ad Highway to Hell) la canzone che meglio identifica gli AC/DC anche per chi (colpevolmente!) non conoscesse il gruppo. Costante presenza in programmi tv o in fantasiose riletture da parte di altre band, questo brano è la quintessenza del hard rock, grazie ad un accattivante riff iniziale (tra le prime cose che s’imparano maneggiando una chitarra), ad una corposa sezione ritmica e ad un ottima performance di Johnson: l’assolo finale dovrebbe essere insegnato nelle scuole …
Terzo singolo estratto da Back in Black è You shook me all night long, il più radiofonico del lotto e quello che decreterà proprio il successo commerciale dell’album. Ironia della sorte, è il pezzo con un testo praticamente monotematico, piuttosto esplicito ed ammiccante: «She was a fast machine / She kept her motor clean/ She was the best damn woman i had ever seen». E’ il primo scritto da Brian Johnson, quindi niente male …

Come b-side del terzo singolo, viene scelto Have a drink on me esplicitamente dedicata ai vizi alcoolici di Scott, mentre a chiudere la provocante Shake a leg (il titolo già preannuncia tutto) e la più sofisticata (vagamente blues, passatemi il termine) Rock ‘n’ Roll ain’t Noise Pollution.
Back in Black piace a prescindere dai gusti, se non altro per quei brani leggendari che passano ancora oggi per le radio commerciali; un disco nato sotto i più neri e difficili auspici ma che ha avuto il pregio di credere sin da subito nella bontà e nella carica di Brian Johnson, che senza camuffarsi da qualcun’altro, ha cercato di interpretare meglio che poteva il ruolo di frontman della band forse più indiavolata dell’intero hard-rock mainstream.

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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