A.R.T. – Fuzz

Era da un po’ di tempo che non sentivo un disco rabbioso e senza sconti (tanto che pensavo non se ne facessero più di dischi così!) come questo esordio brulicante di urla, emozioni e muri di suono: A.R.T. (Andare, Restare, Tornare) dei Fuzz. Originari di Torino, il quartetto si arma di chitarre, basso e percussioni ed incendia le notti piemontesi di un rock violento che ha molteplici cose da spartire tanto con lo stoner di Palm Desert, quanto con il rumoroso rock alternativo di metà anni novanta. Sonorità compatte e lisce, che si muovono nella medesima direzione con un’armonia leggiadra che non è sovente trovare nei generi cosiddetti “pesanti”, ove chitarre e basso non smettono mai di far sentire muscoli e sudore. La grandissima carica sovversiva della musica (tanto da poterlo accostare ad un punk hardcore evoluto), accompagna -oltre ad una discreta critica sociale- anche un percorso personale che si lega indissolubilmente a quel Andare, Restare, Tornare del titolo. Il succo del disco gira appunto tra queste tre condizioni dinamiche della vita: il movimento rappresenta più che un’urgenza o una necessità, una condizione essenziale dell’esistenza, che merita di essere raccontata serrando i pugni ed urlando attraverso un microfono fino a rimanere senza fiato. Se le chitarre graffiano senza ritegno, la sezione ritmica è l’artiglieria pesante che non lascia scampo ad armonie o a soluzioni più meditare; nei Fuzz il furore è l’essenziale punto di riconoscimento per poter veicolare il proprio messaggio.

ART - FuzzCosì brani d’assalto come Suononero Sono l’uomo nero e vengo per distruggere») sono un biglietto da visita sufficiente per alzare naturalmente al massimo la manopola del volume ed ammiccare a quegli echi pumpkiani sommersi da litri e litri di distorsione; invece Immobile vomita tutto il dissapore verso quelle condizioni statiche che sono l’incipit per scatenare l’Andare e cercare nuovi lidi ove respirare. Di matrice simile è Ebola, compatta nel suo ruotare tra urla roche e riff velocissimi di chitarra; mentre un retrogusto punkeggiante sale silenzioso nella molleggiata Sasha, ove le distorsioni si attenuano solo per apparenza.  Inevitabilmente, se l’Andare era mosso da un disagio interiore (ma anche da una sincera voglia di provare), il Restare è quell’instabile armonia che asciuga la sete della scoperta e dell’esagerazione, ma che sottopelle lascia anche strascichi di insoddisfazione, preparando così il terreno per il fatidico (ma non pentito!) Tornare. Così se in Linoeranza un conflitto rabbioso raccoglie passato e presente e ne conta gli errori digrignando i denti, in Isola Blu, ritmiche che in lontananza ricordano i RATM, s’accartocciano in un esplosione ruggente di cambi di tempo e di volume, arrivando fino alle pulsazioni sincere di A Testa Bassa, ove un profumo rockeggiante si fa intenso e livido, nel passaggio più toccante di tutto A.R.T. . 

La parte del finale del disco non risparmia ulteriori sorprese: la necrotica e cupa La Parola Chiave annichilisce le ultime zone rimaste sane del timpano, mentre la trascinante Noia diventa un brano-manifesto davvero ben arrangiato ed emozionante, chiudendo (in maniera forse opinabile, ma perlomeno coraggiosa) con la cover di Io ho in mente te. Autoprodotti e fieri di seguire questa etica, il sound dei Fuzz mostra grande coesione e un’incredibile forza evocativa, rendendoli piuttosto abili ad alzare ogni volta l’asticella e a non accontentarsi mai.
A.R.T. non è punto di partenza, e nemmeno di arrivo: è uno dei dischi più violenti di quest’anno …

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recensito da Poisonheart

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