La storia del Blues: i protagonisti degli anni ’30 (parte II)

Se Robert Johnson fu il più grande chitarrista blues, la corona del miglior armonicista va divisa equamente tra i due Sonny Boy Williamson. L’armonica (harp, e non “arpa” come nell’abnorme traduzione italiana nel film The Blues Brothers quando i due “fratelli” discorrono con Cab Calloway) è uno strumento fondamentale per accentuare le dinamiche spigolose del blues, talvolta ottima per l’accompagnamento altre volte insuperabile negli assoli. John Lee Williamson nasce nel 1914 nel Tennessee, impara presto lo strumento e lo fa suo suonando con altri importanti musicisiti come ad esempio Big Joe Williams. Trasferitosi come moltissimi bluesman a Chicago (capitale dell’industria automobilistica ed unico deterrente contro gli effetti della Grande Depressione),  più precisamente nel South Side teatro della grande esplosione blues degli anni ’30. Lo stile di Sonny Boy I era fatto di frasi semplici ma d’impatto, senza tecnicismi inutili, e la riprova sono indimenticabili classici come Good Morning Schoolgirl o Sugar Mama Blues. Ad Helena, nel Montana, la fama sua fama divenne così importante, che un altro giovane armonicista pensò di sfruttarla a suo favore. Rice Miller entrò così nelle trasmissioni di King Biscuits Time, la radio blues per eccellenza, con il proprio repertorio e facendosi chiamare anch’esso Sonny Boy Williamson II. Se la carriera di Sonny Boy I fu breve e stroncata nel 1948 dopo un esibizione al Platation Club di Chicago da una sanguinosa rissa, quella di Sonny Boy II fu costellata di soddisfazioni ed eccellenti collaborazioni: brani come Lonesome Cabin o Nine Below Zero sono qualcosa di sensazionale. Celeberrimo il suo contributo con Robert Johnson, ma non dimentichiamo che la sua armonica si può apprezzare nei lavori di Elmore James e B.B. King, oltre ad essere stato maestro e mentore di Howlin’ Wolf. Abbandonò le esibizioni nel 1948 dopo il matrimonio con Mattie Gordon (figlia di un pastore cattolico) e si dedicò ad una vita di lavoro e priva di vizi. Tuttavia il demone blues premeva e ben presto abbandonò l’austera vita tornando ad esibirsi e a ricercare nuove forme di blues, collaborando con Animals e Yardbirds.

La vita del bluesman era spesso turbolenta, solitaria e pericolosa. Come non citare ad esempio il mitico Huddie Leadbetter (meglio noto come Leadbelly), che grazie a capolavori come Goodnight Irene o In New Orleans (house of the rising sun) entrò nella leggenda tanto da far impazzire prima William Burroughs e poi ispirare Kurt Cobain (impossibile non citare Where did you sleep last night?). Eppure la carriera di Leadbelly è stata tanto brillante quanto discontinua, specialmente per il suo carattere rissoso che li procurò arresti per omicidio e aggressione.
Il Blues del Mississippi può avvalersi di altri nomi importanti, anche se meno noti ai più. Impossibile non citare Big Bill Broonzy e il suo folk-blues, nonostante i primi successi siano di stampo tipicamente ragtime (Long Tall Mama ad esempio) quindi molto veloci e scanzonati, ottimi per il ballo scatenato. Abbatte le prime resistenze razziali esibendosi alla Carnegie Hall di Chicago, ed ispirando in maniera importante nomi come Muddy Water e Little Walter, grazie ad un modo di suonare asciutto e risoluto: Trouble in mind oppure I Feel so Good sono brani fondamentali per un primo approccio a questo favoloso artista. Negli anni ’50 vira sul folk e sul revival riscuotendo un discreto successo da parte del pubblico bianco.
Spostandoci verso il Texas, uno dei giganti del blues è Blind Lemon Jefferson, famosissimo per il cantato lamentoso (detto moanin’) che conferiva ai propri brani un pathos incredibile ed ineguagliabile riuscendo a commuovere con temi inerenti alle work songs dei lavoratori nei campi di cotone (da segnalare l’immortale Black Snake Moan). Nella terra del country per antonomasia, il blues diede un suo contributo sincero, facendo di Dallas una città capace di sfornare buoni bluesman.

Tuttavia il blues non fu solo un affare per uomini. Bessie Smith è senza dubbio l’artista afroamericana più influente degli anni ’20. Nata nel Tennessee nel 1894, inizia ad esibirsi ad Atlanta e a riscuotere i primi consensi; la caratteristica fondamentale è il suo cantato viscerale e sensuale che fa da sfondo a veri e propri spettacoli vaudeville in compagnia di Wayne Burton. La sua popolarità contagia l’america intera e con Down Hearted Blues tocca le vette delle classifiche, tanto da essere soprannominata The Blues Emperess. E non c’è da stupirsi visto che poteva vantare nella sua scuderia musicisti del calibro di Louis Armostrong, Charlie Green o Fred Langshaw. Il successo si affievolisce negli anni ’30 complice lo scemare dell’interessa del grande pubblico bianco verso il blues, anche se poco prima con Me and my Gin ed Empty Bed Blues Bessie Smith riesce in un ultimo grande colpo di coda. In questi brani tuttavia s’intravedono anche le prime ombre di una vita sofferta e sentimentalmente complicata, bagnata da alcool e pillole: solo nel 1937 la sua carriera tenta una difficile risalita, stroncata da un incidente d’auto nella famigerata Highway 61 a Clarksdale.

La Firma: Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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